Fuorisacco, 05.07.2015.  Grecia, da Bisanzio ad oggi.

Ricordi malatestiani, Sigismondo "il terrorista"
Armando Torno ha pubblicato sul "Sole-24 Ore" un interessantissimo articolo intitolato "Sei secoli di incomprensioni con i greci. Dallo strappo su Bisanzio a quello con Bruxelles". Lo leggete qui sotto. Il pezzo rimanda ad un contesto in cui appare anche la figura di Sigismondo Pandolfo Malatesti.
L'argomento è trattato in questi tre articoli, "Sigismondo il «terrorista». Fu accusato nel 1461 di spingere Maometto II contro Roma", leggibili da questo link.


Ecco il testo di Armando Torno.
Sei secoli di incomprensioni con i greci. Dallo strappo su Bisanzio a quello con Bruxelles
La crisi greca e le recenti discussioni con i vertici politici ed economici Ue richiamano alla mente una vicenda di sei secoli fa, del 1453, quando l’ultimo baluardo dell’impero romano d’oriente, Costantinopoli (oggi Istanbul) e quel poco di territorio avanzato, caddero sotto il dominio turco. Allora non si parlò di bilanci o di debiti, di moneta o di riforme da attuare, ma si verificò una incomprensione continua tra gli ultimi greci, i bizantini e gli Stati europei.
Pensando alla caduta di Costantinopoli sotto i colpi del colto, spregiudicato e traditore di promesse Maometto II, ci si accorge che la storia non si ripete nei dettagli ma sovente offre lezioni che sono subito dimenticate.
Dove stanno le affinità? Bisanzio, simbolo ultimo della Grecia antica, anche allora non rappresentava una potenza economica o militare. Lo storico Fernand Braudel ne diede un'eloquente definizione: era ormai una città isolata, quasi fosse un cuore rimasto vivo in un corpo morto da tempo. Però quel poco territorio, seppure malridotto, era l'ultimo baluardo dell'Occidente contro l'Islam. Le repubbliche italiane e diversi Stati europei ne approfittavano per i loro commerci, i pontefici romani sapevano che – anche dopo lo scisma consumatosi con gli ortodossi – a Bisanzio restava comunque la fede in Cristo, da Mosca giungevano segni d'amicizia. Era poi noto a tutti che la caduta dell'ultimo presidio avrebbe significato avere i turchi, allora intesi come i più forti nemici, nel cuore d'Europa.
Chiunque legga una classica opera come la "Storia dell'impero bizantino" di Georg Ostrogorsky (pubblicata in Italia da Einaudi), potrà trovarvi l'elenco degli innumerevoli tentativi di dialogo tra gli ultimi greci e gli Stati europei: per quasi un secolo fu dato l'allarme da Bisanzio e per lo stesso periodo in Europa si discusse del pericolo recato da un possibile crollo. In due concili, a Ferrara e a Firenze, si parlò a lungo dell'abbraccio tra le due fedi che di fatto avvenne, anche se rimase un atto formale. La Repubblica di Venezia vigilava, come Genova, come gli imperatori greci; anzi, il sedente sul trono Manuele, nel dicembre del 1399 intraprese un viaggio in Europa per sensibilizzare le teste coronate di allora: fu accolto ovunque e giunse sino a Parigi e a Londra. Ma, come sempre, ognuno aveva i propri impegni e si arrivò a quel fatidico aprile 1453 quando, appunto, Maometto II cominciò l'assedio di Costantinopoli.
Anche in quel frangente si fece ben poco. Qualcuno ricordò che le possenti mura rendevano la città inespugnabile, altri – francesi, inglesi – si sentivano lontani, altri ancora cercarono di arrangiarsi dinanzi al possibile disastro. Genova, attenta ai bilanci, consentì che un suo capitano, Giovanni Giustiniani Longo, si recasse già nel gennaio a difesa della città con un contingente ben armato (700 uomini circa, a spese dei bizantini) e, al tempo stesso, si dichiarò neutrale a Pera (oggi è un sobborgo di Istambul, allora una cittadina indipendente). Per un semplice motivo: a Pera i genovesi residenti intrattenevano commerci con i turchi e non avevano alcuna intenzione di interromperli. Venezia riunì alle prime avvisaglie del pericolo il senato e promise l'invio di una flotta. La quale mai arrivò, anzi giunsero soltanto cinque navi: talune fonti riferiscono che furono utilizzate per la fuga da Bisanzio di chi poteva pagare bene. E il Papa? Sul trono di Pietro in quel 1453 sedeva Niccolò V. Non restò insensibile, ma era piccato del fatto che gli ortodossi non si erano di fatto sottomessi alla sua autorità, nonostante invii di cardinali e liturgie officiate con il rito latino. Soltanto alla fine di aprile, con l'assedio in corso, si cercò di armare una flotta; tuttavia a Roma si discuteva se era il caso di intervenire, dato il precipitare della situazione. Una testimonianza di Sant'Antonino da Firenze ci informa però che il pontefice era convinto che i Bizantini si preoccupassero dei propri interessi personali più che di quelli dello Stato e che avrebbero potuto utilizzare le ricchezze a loro disposizione per la difesa, ma non ne avevano intenzione.
E' noto che Bisanzio cadde il 29 maggio del 1453, dopo appelli di ogni genere, anche al popolo da parte dell'imperatore Costantino, morto sugli spalti: talune sue parole assomigliano ai commenti dopo un referendum sul resistere a oltranza. Maometto II entrò a cavallo in Santa Sofia, fedeli e sacerdoti furono passati per le armi, le sante icone fatte a pezzi. L'Europa perdeva l'ultimo baluardo e i turchi si sostituirono ai greci. A Roma si pianse e il 30 settembre la cancelleria pontificia emanò una bolla per indire una crociata. Maometto II fu paragonato a Satana e si ribadì che era assetato di sangue cristiano. Era tardi. Non soltanto per i greci, ormai rovinati. Anche per la crociata.

Antonio Montanari
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