La parola poetica strumento del silenzio
Un ‘dono’ di don Aldo Magnani, «vecchio prete»

Don Aldo Magnani ha offerto di recente a confratelli ed amici un piccolo ma prezioso dono poetico, «Novissima. Le ultime cose» (Pazzini 2005), intendendolo come testimonianza di un «vecchio prete che, scrivendo e riscrivendo, attingeva dalle falde della memoria la temperie che abbiamo cavalcato nel servizio alla società e alla Chiesa». Quando l’ho ricevuto, ho scritto un biglietto di ringraziamento a don Aldo, a cui mi lega un rapporto di quarantennale colleganza giornalistica. Non tradisco lo spirito d’amicizia della mia risposta alla sua cortesia, ma confermo pubblicamente il senso delle mie parole indirizzategli, se le ripeto qui. Voglio confidarti, gli ho spiegato, che ho apprezzato intimamente il tono sublime della tua composizione. La quale richiede una lettura attenta. Essa dapprima affascina e convince immediatamente. Riflettendoci, poi commuove ed apre continue finestre in un gioco dalla preziosità più filosofica che psicologica. «Amavo le parole», tu scrivi: quale insegnamento porgi con delicato tono ma fermo: è il maestoso «silenzio metafisico» che offre la Parola.
A quelle due righe postali, la nota di cronaca deve ora aggiungerne altre per spiegarle. Don Aldo annota che amava la parola e che alla sua mente saliva «il diletto / narcisista di piacersi e piacere». L’esperienza e la riflessione lo hanno portato a concludere: «Il saggio è comparso a suggerire / che bisogna violare l’ultimo confine oltre la parola / per adire il nucleo essenziale / del concetto astrattivo». La parola si fa così strumento del silenzio (sembra, ma non è una contraddizione), di quel «silenzio metafisico» da cui prese avvio il cosmo ed in cui «stava la parola presso Dio e fu detto / - ma appena – in principio…».
Il consumato vegliare sulle parole ha portato don Aldo a distillare l’ammaestramento, la sentenza umile ma salda, rapida e necessaria, nella sua conclusione: «Eccelsa si può dire la scrittura / se avara di segni ma vibrante / magnetica energia / tale che la mente trascorre /planetarie lontananze e il cuore / è a battere sull’asse della terra».
Con il battito di cuore addensato in un efficace lampo letterario, il piccolo segno della parola si fa tramite e sintesi dell’infinito, maestoso simbolo del soprannaturale: «Di certo l’occhio di Dio non dorme / ma nel silenzio dell’aria e della luce / cattura la mente e la guida…». Nel canto, nella tensione che esso reclama, don Aldo ripercorre il consolante insegnamento che placa l’inquietudine del tempo. Ripropone la «vertigine astrale» del mistero «che presiede e ricrea l’universo», come dice il verso finale. Che chiude il discorso in apparenza, in quanto lo riapre daccapo nel suggerire la nostra limitatezza e l’ansia di superarla, nel contrapporre insomma alla lezione angosciante della Storia l’insegnamento della Promessa liberatrice.


1065/Riministoria-il Rimino/Antonio Montanari Nozzoli/19.5.2005