Riministoria-il Rimino
Gerardo Filiberto Dasi.
Memorie di giornale 1993, 1996, 1998.

Tama 491. 29.8.1993. Un agosto così...
Il buongiorno si vede dal «Mattino»? Il quotidiano di Napoli vende finalmente qualche copia anche a Rimini, da quando ne è diventato direttore il concittadino Sergio Zavoli. Per la verità, Zavoli dirige anche la Televisione di Stato di San Marino, il cui segnale supera a fatica il confine di Dogana. La doppia carica di Zavoli, non piace all'on. Ombretta Fumagalli Carulli che ha stigmatizzato (senza nominarli), quegli «ex dirigenti» che «godono di forti liquidazioni e ottime pensioni ma diventano titolari di congrui contratti di collaborazione... e intanto dirigono emittenti televisive e quotidiani» («Corriere della Sera», 19.8). Anche per i cuori che battono a sinistra, il portafoglio sta nella tasca di destra. Nulla di nuovo sotto il sole, è la solita replica.
Sullo sfondo d'allegria per i 150 anni del nostro turismo, l'inventore del sogno del Rex si è trovato inatteso protagonista di un doloroso evento, l'ictus che lo ha colpito, in convalescenza (da un precedente intervento), a Rimini. Mentre il suo medico personale invitava ad essere prudenti, temendo le insidie della malattia, qualcuno metteva in scena goliardate di dubbio gusto, con scherzosi certificati medici, oppure lanciava l'idea di festeggiare su tutta la costa la guarigione del regista di «Amarcord».
In città girano voci che il ricovero di Fellini abbia significato la dimissione di undici persone dal reparto, per isolare l'illustre paziente. Smentiamole, per carità di patria! Pubbliche sono state invece le proteste della moglie Giulietta Masina, che non ha domato l'assedio dei fotografi, ai quali è stato concesso di scambiare un luogo di sofferenza per un set cinematografico. Zavoli ha parlato («Messaggero», 8.8), di «bivacco» e di mancanza del «rispetto che si deve ad una persona ammalata».
Partito Fellini per Ferrara, è arrivato Vittorio Sgarbi ad agitare le acque, attirando con la scusa di un quadro del Cagnacci, folle femminili entusiaste. Attorno a quel quadro, s'è creato uno scontro da torneo medievale: una giostra con Dasi e Sgarbi che combattevano a viso aperto, mentre il Cavaliere Misterioso si celava sul «Carlino» sotto lo pseudonimo di «Antonio Slip», variante (chissà perché) di un precedente «Johnny Slip». Rassicuro chi ha cercato di tirarmi in ballo, per via del mio nome di battesimo: io non c'entro.
Ho deciso, da questa volta in avanti, di firmare secondo anagrafe questo «Tam-Tama», perché l'esempio sia imitato dai fratelli maggiori come il «Carlino». Ognuno racconti le sue storie, ma senza creare equivoci. Sappiamo chi sei, illustre Slip: scommettiamo che...? Deposita un assegno della "tua" banca, per la posta in palio. Ripeto: con te, io non c'entro. Come slip, conosco soltanto i cosiddetti indumenti intimi.

Tama 586. 12.5.1996. Bruxelles o Barafonda?
Ecco il problema, direbbe Amleto. Il super-governo europeo, detto «Commissione» negli atti burocratici, ha deciso di proteggere e finanziare moderatamente (con 30 milioni) il festival «Riminicinema», proprio all’indomani di una polemica tra l’assessore comunale alla Cultura e Gerardo Filiberto Dasi, inventore delle Giornate del Centro Pio Manzù.
Dasi accusava «Riminicinema» di non valere i soldi che costa. Alla risposta dell’Assessore, Dasi replicava con due pagine ‘pubblicitarie’ del Resto del Carlino (concessegli gratuitamente, secondo lo stesso Dasi), sostenendo che nel mondo il Centro Pio Manzù è più famoso del festival riminese, anche se non gode dello stesso sostegno pubblico.
Il direttore di «Riminicinema» (Gianfranco Miro Gori), ha detto che Dasi ha sbagliato nel ritenere che «la notorietà, o qualcosa del genere, di “Riminicinema” non» vada «oltre la Barafonda»; e si è augurato che tutte le altre manifestazioni locali seguano l’esempio del “suo” festival nel pubblicare i bilanci.
Non conosciamo personalmente né Dasi né Gori. Col primo abbiamo avuto qualche scambio epistolare e telefonico. Una volta, quando parlammo sul «Ponte» dei meriti di Luigi Preti nel Pio Manzù, Dasi ci avvertì che ci eravamo sbagliati, facendoci sapere tutta la stima che lui nutriva per Andreotti e soprattutto De Michelis. In altra occasione, quando scrivemmo che cosa avremmo voluto chiedere a Gorbaciov in visita a Rimini, lo stesso Dasi ci rispose per lettera al posto del leader russo, ma invocando la legge sulla stampa, come se la nostra (ipotetica) domanda fosse suonata un’offesa nei confronti dell’uomo della perestrojka. Di Gori abbiamo acquistato e letto il suo bel volume di liriche, ed apprezzato in passato il libretto edito da Guaraldi su Rimini e il cinema.
Ci auguriamo di aver riportato nei giusti termini la questione, dichiarandoci disposti a correggerci se involontariamente siamo incorsi in esagerazioni od errori. L’amore che nutriamo per la nostra città, ci porta a credere che essa abbia bisogno sia del Pio Manzù sia di «Riminicinema»; cioè, sia di un esperto della diplomazia internazionale come Dasi, sia di un intellettuale e raffinato poeta come Gori.
Il nostro atteggiamento non è da asino di Buridano che non vuol compiere scelte, ma nasce da una visione della realtà come contrapposizione dialettica di fattori diversi e complementari tra loro. Per cui tutti sono utili.
Avendo pagato di tasca nostra (come usavano gli antichi) la pubblicazione dei Quaderni di Storia, contenenti importanti documenti inediti locali, riteniamo di ambire al titolo non di «asini di Buridano» ma, sic et simpliciter, di «asini di Rimini».

Tama 698. 15.11.1998. Mela o tela?
Passate le celebrazione del ’68, i reduci ritornano alla politica militante. Il dibattito è acceso, ma il clima non infuocato. D’Alema premier è per tutti, tranne Cossiga, un’immagine rassicurante, vagamente bonomelliana (nel senso della omonima camomilla). Tutti sembrano d’accordo su tutto. Restano ad animare le discussioni i grandi temi, i dilemmi generazionali.
Da Adamo in poi è sempre stato così. «Mela o non mela», titubava Eva che anziché fare «tela» (non nel senso di tessere, ma di filare via), ascoltò il malizioso suggerimento gastronomico del serpente. I nostri antenati si sono chiesti con Garibaldi: «Roma o morte?».
Poi vennero i dubbi che Ennio Flaiano riassunse con «Roma o Orte?», una domanda da orario ferroviario. Quindi toccò a Coppi e Bartali, a Pippo Baudo e Mike Bongiorno, a Bertinotti e Cossutta.
Scendiamo nel nostro piccolo. La questione del giorno che divide al suo interno la sinistra al governo della città riguarda i buchi nelle strade: sostenere che manca l’asfalto, è di destra o di sinistra?
Sui giornali se ne è parlato di sfuggita, ed è stato male. Portiamo il nostro piccolo contributo al dibattito, dicendo che esso non è di secondaria importanza. Se tale lo si considerasse, sarebbe come accantonare cento e più anni di tradizioni politiche, dimenticare che è caduto il muro di Berlino, Gorbaciov non ce l’ha fatta nonostante l’amicizia di Gerardo Filiberto Dasi, la Cina è sempre più vicina ed il Giappone ha smesso di romperci le scatole con la tiritera che se si vuol far marciare l’economia bisogna lavorare 25 ore al giorno.
L’Amministrazione comunale di Rimini non si attrezza per rendere più percorribili le strade dissestate, no, ma scende nell’arena delle contrapposizioni ideologiche con la teoria che ciò che viene deciso dalla Superiori Autorità è sempre il Giusto, il Bello ed il Meglio, e che chi dissente è un reazionario della più bell’acqua.
Un segretario di partito di governo in città, la pensa diversamente. E’ possibile dire che i buchi dell’asfalto esistono, e non per questo passare automaticamente per nemici del Proletario, della Borghesia, del Progresso, della Civiltà e della Confindustria.
L’opinione ci riconforta. E’ il resto che ci deprime. Provate a telefonare ad un ufficio comunale: vi diranno di scrivere al Sindaco, di attendere la risposta, di rivolgervi poi all’assessorato indicato dal Sindaco, scrivendo ovviamente un’altra lettera, alla quale dovrà essere data una risposta.
Ogni problema semplicissimo diventa un fascicolo mastodontico, su cui passeranno notti insonni folle di funzionari. Ammesso che, con le Poste che ci ritroviamo, le nostre lettere arrivino a destinazione.

Antonio Montanari

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