http://digilander.libero.it/ilrimino/att/2004/890.bellagamba.html

il Rimino - Riministoria

Ghigliottina per «Bellagamba», 1854
Testimone, la mia bisnonna che aveva sette anni

La mia bisnonna Augusta Gattei il 22 dicembre 1854 aveva sette anni e mezzo. Era nata il 29 aprile 1847, figlia di Francesco e Rosa Michelucci. Abitava lungo il corso d’Augusto, nei pressi dell’Arco. Quel 22 dicembre fu un giorno particolare per Rimini. Sulla piazza del Corso, l’odierna piazza Malatesta, la ghigliottina mozzò il capo di Federico Poluzzi, soprannominato «Bellagamba».
La piccola Augusta assisté al drammatico spettacolo, ricavandone impressioni e ricordi indelebili, tramandatisi in casa nostra di generazione in generazione. Di quelle immagini che la bisnonna vide e narrò, fece un breve resoconto il fratello di mia madre, in una paginetta pubblicata (e firmata soltanto con la sigla G. N., ovvero Guido Nozzoli) nel programma della ottava edizione della «Festa de’ Borg», tenutasi in San Giuliano il 5 e 6 settembre 1992.
Ora vedo citata quella paginetta in un grosso volume della Fondazione Carim, che raccoglie gli atti di un recente convegno storico su Castel Sismondo («Castel Sismondo. Sigismondo Pandolfo Malatesta e l’arte militare del primo rinascimento», a cura di A. Turchini, Cesena 2003, pp. 380). E proprio nell’ultima pagina dell’ultimo capitolo («dulcis in fundo», o «in cauda venenum»?), incontro un discorso che ovviamente farebbe inquietare la bisnonna, perché indirettamente vi si mette in dubbio la sua testimonianza, ed il racconto che lei ripeté per centinaia di volte, lasciando probabilmente svanire l’iniziale raccapriccio legato alla visione infantile di quell’uccisione, e trascolorando le parole in un’atmosfera da leggenda: cosa che càpita a tutte le cronache che vengano riproposte in più occasioni dall’identico narratore.

Letteratura
o solo Storia?
Lo studioso (lo stesso curatore, Angelo Turchini) che nel libro ha riferito il racconto dell’esecuzione capitale di Federico Poluzzi, non ha ovviamente sostenuto che l’Augusta Gattei non aveva visto quello che aveva raccontato. Ha però scritto un’altra cosa che farebbe egualmente (anche se, com’ho detto, in maniera indiretta) dispetto alla bisnonna, e direttamente all’estensore di quella paginetta, il nominato G. N., se anch’egli non fosse nel regno dei più, e quindi non in grado di farsi una bella risata in un incontro conviviale con amici o parenti, com’era sua costumanza davanti alle situazioni strampalate (ovvero prive di logica). Entrambi, la nonna ed il nipote, debbono limitarsi ad ascoltare sorridenti dall’Aldilà, per esser stati tirati in ballo nell’Aldiquà con «poca grazia» (come dicevano con arguzia i nostri vecchi).
I fatti. Il volume sul convegno malatestiano, in quell’ultima pagina dell’ultimo capitolo, contiene alcune espressioni che non mi piacciono per nulla, e che sono frutto di un’esagitata analisi che sfocia nell’assurdo. Dunque. Sulla «vicenda orribile» di Federico Poluzzi, vi si dice che la testimonianza di Augusta Gattei, la mia bisnonna, era stata «a suo dire raccolta» dal nipote, il G. N. già nominato in atti.
Quando solitamente si vuole insinuare il dubbio sopra un’affermazione di qualcuno, si aggiunge sùbito appunto questa espressione («a suo dire») per suggerire la negazione della sua veridicità. Lo storico che nutre dubbi sullo scritto del nominato G. N., aggiunge, senza tuttavia essere o dimostrarsi un commissario Montalbano: «ma ho il sospetto che la letteratura abbia fatto aggio sulla storia». Il che tradotto in soldoni significa (od almeno così interpreto): ho il sospetto che il nominato G. N. abbia copiato tutta la storia di Federico Poluzzi, e le cose non stiano come il medesimo afferma nel suo breve scritto borghigiano. La parola «sospetto» può anche significare «indizio»: ma non è il caso di questo giudizio affrettato che non riferisce indizi, ma si appella a qualcosa di indefinito come «una vaga impressione». La Storia però non si fa richiamandosi ad impressioni soggettive (ed oltretutto vaghe) che possono dipendere da tanti fattori, cominciando ad esempio dal cibo che si è mangiato o dal modo in cui lo si è digerito. La peristalsi non è un buon giudice, per comune opinione.
Secondo lo studioso malatestiano, il nominato G. N. non avrebbe detto cose veritiere di propria conoscenza, a lui trasmesse dal racconto della nonna Augusta, ma avrebbe imbrogliato le carte ricopiando il racconto (o ricavandolo) dai verbali dell’esecuzione di «Bellagamba» pubblicati nel 1990 da altro storico riminese nel primo volume di una «Storia» cittadina (pp.267-272).

Un «sospetto»
di troppo
Che cosa c’entra questo particolare della pubblicazione dei verbali nel 1990 con il fatto che la mia bisnonna aveva raccontato al nipote (il fratello di mia madre) la scena della morte del Poluzzi? Si vuol soltanto insinuare che i verbali in quella «Storia» cittadina sono anteriori alla «memoria» sulla mia bisnonna Augusta. Per sapere e sentenziare che il 1990 viene prima del 1992, non occorre troppa «scienza infusa». Ma da questa semplice constatazione (che il 1990 precede il 1992) deriva una conseguenza che porta diritto lo studioso malatestiano al «sospetto» che quel nipote non sapesse nulla (cioè non avesse appreso nulla dalla sua nonna), ed all’ipotesi che quanto ha scritto lo avesse invece dedotto soltanto dal testo della «Storia» cittadina apparso nel 1990. Il particolare su quei verbali apparsi nel 1990 logicamente non significa nulla né nel testo né nel contesto. Indica soltanto il fatto che esso è stato preso a pretesto da qualcuno per fare un’affermazione talmente priva di fondamento storico da apparire un abbaglio dettato da «volerne sapere una più del diavolo», come avrebbe detto sarcastica la bisnonna.
Ed a questo punto la stessa bisnonna potrebbe aversene a male. Insinuandosi da questo qualcuno il sospetto che il di lei nipote si sarebbe costruito quella narrazione non in base al racconto della di lui nonna, ma in virtù dei verbali pubblicati «anno Domini» 1990; l’Augusta potrebbe sbottare in una risposta irriferibile, in quanto implicitamente ed indirettamente in questo processo «indiziario» al nipote, resta lei stessa coinvolta, per un semplice dato di fatto logicamente deducibile da quell’ultima pagina di quell’ultimo capitolo. Ovvero: se il nominato G. N. ha raccontato la balla di aver appreso dalla nonna, eccetera; allora anche la detta nonna è tirata in ballo per i capelli a causa della balla medesima, in quanto si suppone che, se il nipote non sapeva, neppure lei aveva visto. E non avendo visto non poteva raccontare.
Non so se sono riuscito a spiegarmi. Non ho l’arguzia degli accademici che nutrono sospetti (senza avere indizi), né ho l’abilità scrittoria del creatore del Commissario Montalbano che chissà quanto si divertirebbe a giocare con ombre e fantasmi che navigano mestamente in questa pagina sopra la ghigliottina della piazza riminese, entrata in azione quel 22 dicembre del 1854, quando la bisnonna Augusta aveva sette anni e mezzo, e l’innocenza di una fanciulla a cui il mondo non sapeva offrire altro pubblico spettacolo di quello di un’esecuzione capitale.

Il racconto
di C. Tonini
Torniamo brevemente a quel giorno del 1854 (e non del 1856 come invece scrive erroneamente lo storico malatestiano di oggi a p. 380). Partiamo dal «Compendio» (1896) di Carlo Tonini, in cui si riporta che il Poluzzi era ritenuto un assassino abituale («imputato, come dicevasi, di molti omicidii»), ma doveva rispondere per l’occasione soltanto dell’uccisione di don Giuseppe Morri, mansionario della cattedrale: «La pena era il taglio della testa colla ghigliottina, e fu eseguita sopra un palco eretto nella piazza Malatesta, o del Corso, sul campo presso la rocca. Intrepido porse il collo alla scure: e un senso di ribrezzo e di orrore ne rimase per lunga pezza al popolo non usato a così fatti spettacoli» (p. 569). Altrettanto striminzita l’annotazione del padre di Carlo Tonini, Luigi nella sua «Cronaca» edita da Ghigi nel 1979 (p. 80), con la differenza che rispetto al figlio usa qualche maiuscola in più nel corso del testo. Il nominato G. N., nell’opuscolo borghigiano racconta particolari inediti che né i Tonini né la «Storia» riminese del 1990 riportano.
«Bellagamba» non era uno stinco di santo, anzi aveva fama pessima. Di natura indocile e considerato pertanto una «testa calda», doveva essere uno di quei giovani che, nei giorni inquieti di allora, «tra lom e scur i andeva a prét e a pulizai», narra il G. N. citato. Nulla deponeva a suo favore, anche se «tra chi lo conosceva, si sussurrava che altri fossero gli uccisori di don Morri e che lui avesse rinunciato a difendersi presentando un alibi per non compromettere la moglie di un fornaio con cui aveva trascorso in intimità l’ora in cui era stato ucciso don Morri».
La mia bisnonna aveva mantenuto impresse nella memoria tutte le immagini viste dipanarsi davanti agli occhi innocenti, nella piazza della Rocca. Il color marroncino della ghigliottina, la lama «lustra c’la arluséva», il carnefice venuto con la macchina per l’esecuzione da Ancona, «un umaz cun e capel dur, e tòt ner com un bagaron». E poi la folla degli spettatori che litigano per accaparrarsi un posto da cui godere meglio la scena, i soldati che faticano ad arginarli e «i ragneva», dando degli spintoni a tutti.

L’ultimo
desiderio
La bisnonna vide «Bellagamba» esprimere l’ultimo desiderio del condannato: «un pizzunzein arost, un bicér d’mistrà e un Virginia» (ch’era un sigaro di buona marca). Lo guardò poi salire sul palco, esaudite le sue richieste, e lo «ricordò per sempre come l’incarnazione del protagonista di certi romanzi popolari del suo tempo»: «L’era bèl. Drét com’un fus e spaveld. L’aveva i calzun scur con la fianchetta elta stretta in vita, la camisa bienca cun e’ jabot. E’ camineva a pèt in fòra, e us videva che un aveva paura gnenca de dievul». Alla bisnonna Augusta dà ragione Carlo Tonini, come si è già letto: Federico Poluzzi, alla fine della pubblica cerimonia, «intrepido porse il collo alla scure…». «Et hoc sufficit pro veritate» circa il racconto della mia bisnonna e la trascrizione fatta dal di lei nipote nell’anno 1992.

Antonio Montanari


All' indice de il Rimino

All' indice di Riministoria

Per informazioni scrivere a monari@libero.it.


890/Riministoria-il Rimino/31.12.2003
http://digilander.libero.it/ilrimino/att/2004/890.bellagamba.html