Rimini si racconta ![]() De Carlo e la Rimini «nuova» degli anni Sessanta Ideò un piano regolatore abbandonato dal Comune ![]() Giancarlo De Carlo, maestro di architettura ed urbanistica, è morto a Milano sabato 4 giugno alletà di 85 anni. Il suo nome è legato al piano regolatore che a metà degli anni Sessanta avrebbe dovuto cambiare il volto di Rimini. La città allora prende una di quelle cotte che lasciano un segno duraturo, e lanello di fidanzamento costa 650 milioni. Tutto il centro storico doveva essere smontato e rifatto, uneccezionale monorotaia sopraelevata avrebbe risolto i problemi del traffico. La storia finisce in un romantico abbandono. La tenera fanciulla apre gli occhi, scopre che il borsellino è vuoto per aver pagato i meravigliosi progetti, e tronca la relazione. Per sempre. Con ladozione del piano De Carlo lamministrazione comunale «si è cacciata, involontariamente e forse inaspettatamente» in un vicolo cieco: oltre duemila osservazioni ed opposizioni convincono i comunisti a prenderne le distanze, secondo Fabio Tomasetti («Il piano regolatore generale in variante 1975», in «Sviluppo economico e trasformazione sociale a Rimini nel secondo Novecento», Capitani, Rimini 2002, pp. 291-292). Il risultato finale è che savvia «il periodo buio del consociativismo politico e urbanistico, che culminerà nelle politiche-pratiche urbanistiche degli anni 80», ha scritto Giorgio Conti («La città moderna, Fasi dello sviluppo urbano», in «Rimini città come storia 2», Giusti, Rimini 2000, p. 287). Dalle cambiali del Dopoguerra ai buoni del Tesoro di fine anni Ottanta, è stato il cammino di tre generazioni. I nonni hanno costruito usando i calli delle mani come garanzie dei loro impegni. Poca cultura, nessuna professionalità, molto lavoro, i guadagni investiti continuamente. Gente che da piccole stanze ha ricavato pensioni, da pensioni alberghi. Era la fase patriarcale, in cui si sono mescolati atteggiamenti dispotici e strafottenti. Dice un protagonista del romanzo «Rimini» di Pier Vittorio Tondelli (1985): «Diventavo grande e capivo che lunica cosa che contava era far quadrare quei maledetti conti e poter pagare i debiti con la banca» (p. 252). Capitalismo era una parola da cancellare, ma in quegli anni molto proletariato divenne borghesia se non come classe sociale almeno come ceto economico. Cerano i soldi da fare o fatti, i debiti da pagare rimandati o tirati per le lunghe perché lalbergo potesse crescere in dimensione, aggiungendo cubature al piano, o alzando ledificio nel silenzioso disordine dellurbanistica del tempo. «Ho fatto i soldi?» dice il protagonista di una poesia di Raffaello Baldini: «e aloura? am so rangè, fintént chu i è di patàca». Spesso i nuovi padroni provengono dalle campagne, reduci da miserie antiche subìte sotto i vecchi «signori» abituati a non fare mai i conti con i loro contadini. E adesso gli ex contadini ricopiano i comportamenti dei loro ex padroni. Durante il breve «miracolo economico» e con la «congiuntura» del 1964 avvengono la fuga dai campi (a Rimini 25 poderi abbandonati nel 1958), lo sviluppo dellindustria e la sua crisi che prelude a quel Sessantotto che in Italia è avvenuto lanno dopo con l«autunno caldo». Rimini si racconta, indice Antonio Montanari Fonte: il Rimino, giugno 2005, n. 114, anno VII "il Ponte" n. 22, 2005 "Riministoria" è un sito amatoriale, non un prodotto editoriale. Tutto il materiale in esso contenuto, compreso "il Rimino", è da intendersi quale "copia pro manuscripto". Quindi esso non rientra nella legge 07.03.2001, n. 62, "Nuove norme sull'editoria e sui prodotti editoriali e modifiche alla legge 05.08.1981, n. 416", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 67, 21.03.2001. © Antonio Montanari. [1757, 30.09.2012. Agg.: 30.09.2012, 14:40]. Mail ![]() |