Tre articoli apparsi su "il Ponte", Rimini, 2005
1. Sigismondo il «terrorista»
Fu accusato nel 1461 di spingere Maometto II contro Roma

"il Ponte", Rimini, 1.5.2005

Nei fatti della Storia come nei romanzi gialli o nelle indagini poliziesche, i dettagli vanno raccolti e raccontati con attenzione. Essi aiutano a comprendere un personaggio, a ricostruire una vicenda collettiva, a tessere o decifrare una trama che altrimenti resterebbe lontana e confusa come un paesaggio remoto. Il quale, se affascina nella sua sommaria sintesi, non offre però la possibilità di descrivere i tratti caratteristici del suo territorio.
Partiamo da un notizia di cronaca, prima di entrare nel merito dell’argomento. Londra ha di recente ospitato alla Royal Academy of Arts una mostra intitolata «Turchi, un viaggio lungo mille anni». Tra i pezzi in mostra c’era il ritratto di Mehemed (Maometto) II attribuito a Shiblizade Ahmed ed eseguito nel 1480. Maometto II era nato ad Adrianopoli (Edirne) nel 1430, e morì nel 1481. Il 29 maggio 1453, conquistò Costantinopoli ponendo fine al millenario impero bizantino.
L’antica Bisanzio aveva cambiato nome nel 330 quando Costantino vi pose la sede imperiale (prima è detta Roma Nuova poi Costantinopoli). Nel 293 il riordinamento dell’impero voluto da Diocleziano aveva creato la doppia capitale, per un più capillare controllo dei territori: Nicomedia (Izmit) per lo stesso Diocleziano che guidava la parte orientale, e Milano per Valerio Massimo che governava quella occidentale. A Milano è emanato nel 313 l’Editto di tolleranza.
La riforma di Diocleziano prevede oltre ai due Augusti altrettanti loro vice destinati a succedergli: sono i Cesari, Galerio per l’Oriente (residente a Sirmio nell’Illiria) e Costanzo Cloro in Occidente (residente a Treviri nella Gallia e ad Eboracum in Britannia). Roma diventa così un nome vuoto.
Nel 476 con la deposizione di Romolo Augustolo, ultimo imperatore d’Occidente, si apre una nuova fase storica. L’eredità latina sopravvive ad Oriente con i bizantini. In Italia, Gallia, Spagna ed Africa nascono i regni romano-barbarici. Inizia formalmente quel «medio evo» che si fa concludere con la scoperta dell’America (1492) o con la conquista nel 1453 di Costantinopoli (che diviene Istanbul), quando all’impero bizantino subentra l’ottomano che crolla al termine della prima guerra mondiale (1914-1918) assieme a quelli austriaco, tedesco e russo.
Nel 553 i bizantini stabiliscono il loro dominio sulla nostra penisola, con l’esarca (governatore militare e civile) che risiede a Ravenna, nella regione detta Ròmania (da cui Romagna). Rimini fa parte della Pentapoli marittima con Pesaro, Fano, Senigallia ed Ancona. Queste città nell’ottavo secolo passano allo Stato della Chiesa, nato per l’intervento dei Franchi in Italia (chiesto nel 754 da papa Stefano II).
Nel 1453 Costantinopoli è una città spopolata e in decadenza. Con Maometto II ridiviene un centro fiorente, abitato da una popolazione multirazziale e plurireligiosa. Per numero di residenti e per importanza commerciale essa supera qualsiasi altra città del mondo musulmano e cristiano. Maometto nel 1456 è sconfitto a Belgrado, e tre anni dopo conquista il Peloponneso, Trebisonda (ultimo stato bizantino ancora autonomo), parte dell’Albania, le colonie genovesi di Crimea e la Serbia. La sua ultima impresa militare nel 1479 è la campagna d’Ungheria che si conclude con una sconfitta.
La caduta di Costantinopoli del 1453 provoca forte tensione internazionale. Papa Niccolò V emana una bolla in cui si parla dell’avvento della bestia dell’«Apocalisse» avanguardia dell’Anticristo. Le altre potenze politiche invece pensano soltanto agli affari. Le loro reazioni, è stato osservato da Corrado Vivanti, furono soltanto «sentimentali o retoriche». Non va dimenticato che i cannoni usati per espugnare Costantinopoli erano stati costruiti da un ingegnere ungherese. (Il 24 novembre 1450 a Fabriano, dove si era rifugiato per sfuggire alla peste, il papa Niccolò V aveva mandato al rogo tre «Fraticelli» appartenenti ad una congrega francescana attiva tra Umbria e Marche. Nel 1453 fece impiccare Stefano Porcari, un amico di dotti umanisti, per il suo tentativo d’abbattere il potere temporale.)
Il 1453 è anche l’anno in cui prende forma il Tempio riminese con l’innalzamento delle pareti esterne secondo il disegno di Leon Battista Alberti. Due anni prima Piero della Francesca ha firmato e datato l’affresco nella cella delle Reliquie, ed il primo maggio 1452 è stata consacrata la cappella di san Sigismondo re di Borgogna, la cui statua è opera di Agostino di Duccio.
In quell’affresco (interpretazione laica di un soggetto di devozione, secondo Roberto Longhi), Sigismondo Pandolfo Malatesti fa celebrare il proprio protettore con le fattezze dell’omonimo imperatore (1368-1437) il quale nel 1433 era stato incoronato a Roma ed aveva visitato Rimini, concedendo il 3 settembre la sua investitura allo stesso Sigismondo ed al fratello Malatesta Novello.
La conquista di Costantinopoli, provoca sgomento nel mondo cristiano, mentre l’Islam esulta dall’Andalusia all’India. Il vescovo di Siena Enea Silvio Piccolomini (futuro Pio II, e grande avversario del nostro Sigismondo) scrive a Niccolò V: «Pudet iam vitae, feliciter ante hunc casum obiissemus!», mi vergogno di vivere, almeno fossi morto. Niccolò V si converte allo spirito di crociata contro i turchi. La spada dei turchi pende ormai sulle nostre teste, e noi ci facciamo la guerra l’un l’altro, scrive lo stesso Piccolomini al cardinale e filosofo Niccolò Cusano.
Il 18 aprile 1454 Venezia stipula un accordo con Maometto II. Pochi giorni prima, il 9 aprile, è stata firmata la pace di Lodi fra gli Stati italiani, favorita da una generale spossatezza e dalla conclusione della guerra dei Cento anni (1453) che rendeva disponibile la Francia ad un intervento in Italia. Tra Stati europei ed impero ottomano, secondo Luciano Canfora, dal 1453 «almeno fino al tempo del Bonaparte» s’instaura un rapporto caratterizzato dal «massimo di retorica demonizzante» in Occidente, e sull’altro versante dal «massimo di spregiudicatezza diplomatica».
Su questo scenario internazionale va collocato il «dettaglio» che riguarda Sigismondo. Siamo nel 1461. Maometto, tramite l’ambasciatore veneto in Egitto, il nobile Girolamo Michiel, chiede al signore di Rimini il favore d’inviargli Matteo de’ Pasti per farsi ritrarre. Matteo si trovava nella nostra città dal 1446, «gelosamente» custodito da Sigismondo (come scrisse nel 1909 Giovanni Soranzo), per lavorare all’interno del Tempio. Matteo de’ Pasti è soprattutto noto grazie alle medaglie che ritraggono lo stesso Sigismondo ed Isotta.
Sigismondo di buon grado accetta la richiesta di Maometto II, a cui invia tramite lo stesso Matteo una lettera in latino composta da Roberto Valturio, il suo «più dotto e benemerito segretario», accompagnandola con il dono d’una copia del «De re militari» opera dello stesso Valturio, famosa ancor oggi per l’elogio del Malatesti: «... tu, o Sigismondo, che nella difesa della religione e nel certame della gloria non sei inferiore ai più illustri condottieri ed imperatori, dopo la conclusione della guerra italica, nella quale hai sconfitto ed annientato tutti i nemici grazie all'invincibile ardimento del tuo animo, volgendo il pensiero dalle armi ai pubblici affari, con i bottini delle città assediate e sottomesse, confidando nella somma religione del santissimo e divino Principe, hai lasciato, oltre ai sacri edifici posti a tre miglia dalla città sul monte e dinanzi al mare, quel Tempio famoso e degno d'ogni ammirazione, ed anche unico monumento del tuo nome regale, entro le mura, al centro della città e nei pressi del foro, costruito dalle fondamenta e dedicato a Dio, con tanta abbondanza di ricchezza, tanti meravigliosi ornamenti di pittura e di bassorilievi, di modo che in questa famosissima città, quantunque si trovino moltissime cose degne d'essere conosciute e ricordate, niente vi sia di più importante, e niente che di più sia stimato da vedere, soprattutto per la grande vastità dell'edificio, per le numerose ed altissime arcate, costruite con marmo straniero, ornate di pannelli di pietra, e nelle quali si ammirano bellissime sculture ed insieme le raffigurazioni dei venerabili antenati, delle quattro virtù cardinali, dei segni zodiacali, dei pianeti, delle Sibille, delle arti e di altre moltissime nobili cose».
La missione di Matteo de’ Pasti non va in porto. Nel novembre 1461 è catturato in Candia e condotto a Venezia dove lo processano riconoscendolo innocente (e pertanto lo rilasciano il 2 dicembre). Da Venezia si diffonde (tramite la corte milanese) la falsa notizia che Sigismondo aveva cercato di contattare Maometto per esortarlo a venire a combattere in Italia. Il nuovo papa Pio II che stava allora esaminando la «posizione» di Sigismondo (sarà scomunicato il 27 aprile 1462), è dello stesso parere.
Secondo Soranzo, l’accusa rivolta al nostro principe era «insussistente». Tuttavia essa circolò da Milano sino a Napoli al solo scopo di denigrare Sigismondo come nemico della Religione, dello Stato della Chiesa, delle signorie e dell’Italia tutta. Insomma, lo presentavano (oggi diremmo) quale «terrorista» al soldo del Turco. Questa in breve è la vicenda della missione fallita di Matteo de’ Pasti, i cui particolari raccontiamo nella seconda parte.
Per ora ci limitiamo ad osservare che Sigismondo scrivendo a Maometto II (per mano di Valturio), dichiara di voler far partecipe il sultano dei propri studi ed interessi («te meorum studiorum mearumque voluptatum partecipem facere»). Non ha progetti politici nascosti. Desidera semplicemente ribadire un suo sogno o ideale: una cultura aperta all’ascolto di tutte le voci, nel solco della tradizione umanistica, testimoniata dallo stesso Tempio.
Il monumento riminese rispecchia i temi dell’intero mondo mediterraneo dove greci, romani ed arabi avevano costruito un sapere universale. Gli arabi avevano poi permesso ai dotti europei di recuperare ciò che alla fine dell’era classica era andato smarrito in campo filosofico e scientifico. Bisanzio è l’altra metà di quel mondo, come ha dimostrato Niccolò V che, dopo il decreto conciliare del 1439 per l’unione delle due Chiese, ha tentato di rinnovare la tradizione classica greca.
Il Tempio racconta il senso della continuità storica del mondo mediterraneo, fatta di sintesi unificatrice che privilegia l’accordo, l’identificazione, il riconoscimento di ciò che è comune, mentre l’analisi strettamente geo-politica delle singole entità territoriali tende a dividere ed a contrapporre. E la vicenda del 1461 ne è piena conferma. Forse Sigismondo sognava di trasformare Rimini in una città-ponte con tutti i centri intellettuali del Mediterraneo, un specie di faro di sapienza che potesse vantarsi di succedere a Roma, Bisanzio e Ravenna.

Antonio Montanari
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